Imprenditore Corazzato

Caso Studio: come la Diagnosi dei rischi mette in luce le fragilità del successo professionale


Marco (nome di fantasia) ha costruito la sua vita professionale con due studi dentistici tra Rimini e Riccione, 300mila euro di fatturato annuo.  

Ha una bella famiglia, anche. Dall’esterno sembra aver realizzato il sogno italiano: sacrifici ripagati, stabilità conquistata, il futuro al sicuro.

Ma se dovesse smettere di lavorare, quanto reggerebbero le sue certezze?

Nonostante un patrimonio immobiliare di oltre mezzo milione di euro, Marco ha riserve liquide che basterebbero per meno di un anno, e una previdenza che in caso di invalidità erogherebbe cifre ben al di sotto dello stile di vita della famiglia. 

Nel frattempo sua moglie Elena ha sempre lavorato solo in casa, e le figlie Chiara e Sofia studiano a Bologna, e tutto dipende da una sola cosa: le sue mani.

Questo caso studio è una fotografia onesta di come stanno davvero le cose quando tutta la stabilità dipende solo da una cosa: il lavoro.

Soprattutto, fa capire come una Diagnosi dei Rischi ha cambiato la prospettiva di Marco e la sua tranquillità.


Indice

  1. La situazione apparentemente solida
  2. Tutto dipende da un solo elemento: il lavoro di Marco
  3. Cosa succede se il lavoro si ferma
  4. Il peso delle scelte familiari: Elena e le ragazze
  5. Il paradosso del patrimonio immobiliare: ricco sulla carta, vulnerabile nei fatti
  6. L’eredità che diventa un problema: quando i figli rischiano di litigare per il patrimonio
  7. La differenza tra prima e dopo: dalla rassicurazione alla consapevolezza
  8. I rischi nascosti di chi amministra: articolo 2740 e responsabilità illimitata



La situazione apparentemente solida

Marco ha 56 anni e ha aperto il suo primo studio nel 1994.

Dopo trent’anni di carriera si occupa anche di consulenze chirurgiche e ha costruito una solida attività professionale.

La moglie Elena ha sempre gestito la famiglia, e le loro due figlie studiano: Chiara, 25 anni, studia sociologia a Bologna, mentre Martina, 23 anni, è iscritta ad agraria.

Tra liquidità e investimenti possiede circa 200.000 euro, nessun debito, immobili per quasi 700.000 euro e una società di cui è l’unico proprietario e amministratore.

La più grande criticità, tuttavia, è un’altra.

Tutto dipende da un solo elemento: il lavoro di Marco

La cosa che colpisce di più è quanto tutto dipenda da un solo elemento: le mani di Marco.

Sembra ovvio, ma solo quando viene metti nero su bianco.

Più sei bravo in quello che fai, più tutto il tuo mondo ruota attorno a quella competenza specifica. E nel caso di un dentista che opera tutti i giorni negli studi di proprietà, la competenza sta – letteralmente – nelle sue mani.

Se per qualche motivo Marco non potesse più lavorare domani, i conti smetterebbero di tornare: da qui all’età della pensione, si parla di circa 4,2 milioni di euro di mancato guadagno.

È semplice matematica: un incidente, una malattia o solo l’età che avanza prima del previsto porrebbero uno stop a tutte le fonti di reddito.

Inoltre l’ENPAM, la cassa previdenziale dei medici, in caso di invalidità grave eroga zero euro. Zero. Anche con inabilità totale si arriva a malapena a 1.500 euro al mese.

Mensilmente, Marco oggi gestisce entrate familiari intorno ai 10.000 euro al mese che in caso di sua inabilità si ridurrebbero a poco più di 1.000.

Le spese familiari non calerebbero insieme al reddito, soprattutto quando ci sono due figlie all’università.

Per questi motivi, e per quanto possano spaventare, è bene capire esattamente cosa succederebbe se Marco si fermasse, numeri alla mano.

Cosa succede se il lavoro si ferma

Quando Marco ha aperto il suo studio negli anni ’90, l’ENPAM sembrava una garanzia solida: una cassa previdenziale più generosa dello Stato, pensata per i professionisti.
In effetti, per la pensione di vecchiaia funziona ancora meglio dell’INPS.

E qui viene il punto: Marco ha 32 anni di contributi versati, oltre 205.000 euro rivalutati nel montante contributivo (il “salvadanaio” in cui finiscono i soldi dei contributi). Eppure, se domani non potesse più lavorare, quel notevole accumulo si trasformerebbe in poco più di mille euro al mese.

Per una famiglia che oggi gestisce uno standard di vita costruito su 25.000 euro mensili, significa rivedere tutto.

Le spese universitarie di Chiara e Sofia (tasse, libri, case etc) si prenderebbero da sole la maggior parte dei famosi “quasi 1.500 euro al mese”.

Tutto il resto, come le spese per la casa di famiglia, vitto, viaggi e il tenore di vita garantito dalle entrate è completamente esposto. 

Tutto questo in una situazione in cui Marco ha versato contributi regolarmente per tre decenni, ha rispettato ogni obbligo previdenziale

L’ENPAM non è cattiva, semplicemente funziona come funziona.

Ha dei buchi enormi sulla protezione dell’invalidità, ma molti professionisti non lo sanno e pensano di avere una una rete di sicurezza che non c’è più.

O meglio, c’è per la vecchiaia, ma sparisce proprio quando ne avresti bisogno prima.

La situazione diventa ancora più evidente quando guardi alla situazione familiare: le scelte condivise dai coniugi diventano un boomerang se manca chi produce reddito.

Il peso delle scelte familiari: Elena e le ragazze


Elena ha sempre fatto la casalinga, o meglio: ha sempre lavorato in casa.

Una scelta legittima e condivisa.
Lei ha gestito la casa.
Lei ha gestito le incombenze di Chiara e Sofia.

Il lavoro di Elena ha permesso a Marco di concentrarsi sulla sua carriera e sviluppare il tenore di vita della famiglia. Però questo equilibrio regge finché tutti gli ingranaggi continuano a girare.

Ma cosa succede se Marco dovesse mancare? Elena si troverebbe a 54 anni a dover ricostruire un’economia da zero. Senza esperienza lavorativa recente, senza una posizione contributiva propria, con due figlie da mantenere negli studi.

La “pensione ai superstiti” dell’ENPAM? Sempre quei 1.500 euro al mese.

E poi ci sono Chiara e Sofia. Venticinque e ventitré anni, nel pieno degli studi universitari a Bologna. Sociologia e agraria. Anni per completare i percorsi, con tutte le spese che questo comporta: affitti, rate universitarie, libri, vita quotidiana.

In breve, due ragazze che oggi possono permettersi di studiare con serenità, domani potrebbero dover smettere.

La vulnerabilità non sta nelle scelte fatte, ma nell’assenza di protezione di quelle scelte.

Molte entrate, un unico punto di rottura.

In più c’è un paradosso: possedere immobili non significa essere protetti.

Il paradosso del patrimonio immobiliare: ricco sulla carta, vulnerabile nei fatti

Sulla carta, Marco è decisamente benestante.

Immobili per quasi 700.000 euro, nessun debito, una società di proprietà.

È il tipo di patrimonio che dovrebbe garantire serenità e sicurezza, ma il valore è bloccato. Negli immobili, appunto. 

È una ricchezza che per essere utilizzarla deve essere liquidata. E vendere in fretta significa quasi sempre vendere male. Significa accettare sconti, tempi troppo brevi o troppo lunghi, compromessi.

Le riserve liquide sono di circa 200.000 euro tra liquidità e investimenti, ma se il reddito si ferma, bastano per meno di un anno considerando lo standard di vita attuale della famiglia.

Meno di dodici mesi per capire cosa fare, riorganizzarsi, trovare soluzioni.

È un po’ come avere una Ferrari in garage ma doverla vendere perché tutt’a un tratto non hai i soldi per la benzina.

Infatti il patrimonio immobiliare protegge sul lungo periodo, ma non ti salva dall’emergenza.

E c’è un altro aspetto.

Gli immobili non sono solo ricchezza, sono anche responsabilità: tutto il patrimonio immobiliare è esposto alla responsabilità illimitata degli Amministratori di Società.


I rischi nascosti di chi amministra: adeguati assetti organizzativi, e art. 2740 e responsabilità illimitata

Marco è l’amministratore unico della sua società, quella che gestisce gli studi e attraverso cui fattura.

La posizione conferisce controllo e autonomia, ma comporta un livello di responsabilità che va oltre l’immaginazione.

Gli adeguati assetti organizzativi riguardano l’insieme di struttura, processi e sistemi che un’impresa mette in atto per assicurare un funzionamento efficace, regolare e sostenibile nel tempo.

Bisogna dotarsi di un’organizzazione interna “su misura” della propria azienda: lo stabilisce il codice della crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019) e l’obbligo è stato rafforzato dal D.Lgs. 83/2022.

In più, l’articolo 2740 del Codice Civile è chiarissimo: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.”

Tutti i beni. La casa dove vive con Elena (con Chiara e Martina, quando ci sono), la casa per gli studi universitari delle ragazze, quella di vacanza, i risparmi, gli investimenti, tutto.
Anche i beni futuri, quelli che accumulerà.

Se qualcosa va storto sul lavoro, Marco risponde con tutto il suo patrimonio personale.

La protezione del patrimonio personale quando sei amministratore di società non è automatica, va costruita.

Marco, come l’82% degli italiani, ha costruito un patrimonio, ma non lo aveva protetto.
Ha accumulato ricchezza, ma l’ha lasciata esposta.

Inoltre, il patrimonio va protetto anche da successioni “difficili”?

L’eredità che diventa un problema: quando i figli rischiano di litigare per il patrimonio

Marco ha costruito un patrimonio importante: immobili, liquidità, la società.

L’ha fatto pensando che un giorno Chiara e Sofia avrebbero “ereditato tutto”, anche se non studiano odontoiatria, e che il suo lavoro le avrebbe messe al sicuro anche dopo la sua dipartita.

In sostanza, Marco non ha mai pianificato seriamente cosa succederà al suo patrimonio.

Non ha fatto testamento, non ha pensato a come dividere gli immobili, non ha considerato le implicazioni fiscali della successione. Aveva semplicemente dato per scontato che “si sistemerà tutto”.

La realtà è diversa.

In Italia, una causa civile su tre riguarda questioni ereditarie.

Ed è frequentissimo vedere patrimoni che si sgretolano in spese legali. Le persone non sono cattive, succede perché non è chiaro a chi spetta cosa.

Nel caso di Marco, ci sono cinque immobili da dividere tra due figlie.

Chi prende la casa dove hanno vissuto? Chi prende gli studi? Come si divide un patrimonio immobiliare legato alla parte professionale?

Senza contare che le tasse di successione possono erodere una parte significativa del patrimonio se non viene strutturato correttamente.

Soldi che vanno allo Stato invece che alle figlie, semplicemente perché non si è pianificato in tempo.

Ma la cosa più importante non sono i singoli problemi emersi.

È il quadro generale: la differenza abissale tra come Marco percepiva la sua situazione e come stanno realmente le cose.

La differenza tra prima e dopo: dalla rassicurazione alla consapevolezza

Prima della Diagnosi dei Rischi, Marco aveva la sensazione rassicurante di aver fatto “tutto giusto”.

Dopo la Diagnosi, Marco vede gli stessi numeri ma con occhi diversi.

I traguardi raggiunti sono anche vulnerabilità da proteggere.

I 200.000 euro di liquidità non sono più solo “i risparmi di una vita”, ma “meno di un anno di copertura se il reddito si ferma”.

Gli immobili non sono più solo “il patrimonio”, ma “ricchezza bloccata che serve tempo per liquidare”.

Prima c’era la sensazione di sicurezza basata unicamente sul successo professionale.

Ora c’è la consapevolezza che la sicurezza va costruita attivamente, non arriva automaticamente con i soldi in banca.

Marco ha sempre pensato di proteggere la sua famiglia lavorando duramente, ora protegge la famiglia se dovesse smettere di lavorare.

La Diagnosi dei Rischi, semplicemente, gli ha dato consapevolezza e strumenti per trasformarla in azione.


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